doverosa riflessione
I Minori, la Giustizia e la Legge
Avv. Gerardo Spira *
Ogni giorno leggiamo sulla stampa notizie di decisioni estreme della Giustizia adottate nei casi di separazioni, che ormai hanno invaso la famiglia e la società come un fiume in piena. Non c’è più assunzione di responsabilità giudiziaria o almeno essa non ha assunto il concreto e pieno valore! Ogni Tribunale tira fuori dal cilindro il proprio coniglio. Il rito davanti al TRIBUNALE PER I MINORENNI è diventato un terno al lotto; nessuno riesce a prevedere la decisione, tranne qualche caso preannunciato per la notorietà dei soggetti in campo.
I genitori aprono il fronte di guerra, la giustizia prepara lo scenario; il palcoscenico si affolla di una miriade di personaggi, pronti ad aggredire, a tentare di mediare o ad accaparrarsi il pomo della contesa nel lungo e interminabile percorso giudiziario.
Il minore, soggetto che la legge pretende di salvaguardare, corre da una parte all’altra, strattonato, sgridato e imbeccato, in attesa di incontrare la tanto agognata pace e serenità. Intanto il tempo corre e come ormai tutti sappiamo, tra un rinvio e l’altro, memorie e Ctu, ci ritroviamo, ormai stanchi, maturi, si fa per dire, per sentire l’ardua sentenza.
Nel giorno del giudizio i genitori si presentano con qualche capello bianco, accompagnati da qualche altro minore, intanto venuto al mondo nel quadro della convivenza allargata insieme al fratello, pomo della discordia, col tono della voce cambiato, accompagnato per mano dalla prima fidanzatina di turno.
Finalmente, il giudice ha deciso e tutti, ansiosi di tornare alla vita ormai cambiata, ascoltano il rituale in un’aula apparecchiata e ammobiliata alla solennità. “In nome del popolo italiano……PQM… Giustizia è fatta! Almeno, pare; forse non è così; No, qualcuno piange, grida, è disperato! Chi è! La madre, il padre, qualche parente? ... E’ il minore, l’unico soggetto che lo ha preso a……quel servizio.
La decisione non parla di lui, dei suoi sentimenti, del suo futuro. Eppure aveva tante cose da raccontare, dell’inferno in cui ha vissuto, del dolore che si è portato dentro, delle tante porcherie che ha dovuto sopportare e soprattutto la presenza di assistenti e psicologi che hanno sconvolto la sua vita privata, sezionandola come un corpo morto, senza curarsi delle sofferenze che ha dovuto reprimere per opportunità.
Tutto questo fardello formerà il bagaglio che si porterà nei lunghi e interminabili silenzi della vita, quando sarà solo con se stesso. Nessuno lo ha ascoltato. Eppure egli voleva e lo chiedeva e quando non poteva parlare si esprimeva con le lacrime e il volto segnato dal dolore. Ma il Giudice affrettato dal carico del ruolo e delle cartacce, non ha avuto o non ha trovato il tempo per soffermarsi su questi segnali.
La decisione del Giudice, maturata e scritta in gran segreto non parla di lui, ma di soldi distribuiti e da distribuire all’uno o all’altro genitore, agli avvocati, ai tecnici; parla delle spese affrontate e sostenute per costruire e mantenere la scena.
C’è chi si lecca le ferite, chi raccoglie le carte e quel che è rimasto della toga, segnata da una macchia, ben visibile non eliminata e c’è chi in silenzio, vagando e confuso, va verso l’uscita, quella che, tanto tempo fa, aveva intrapreso con sostenuto orgoglio.
La solita voce di rito libera la scena: “chiamo la causa di… tutti prendono la strada del ritorno tra sommessi e furtivi sguardi, quasi a voler cercare la ragione di quella decisione, dopo tanto tempo.
Fuori dal palazzo i commenti e le discussioni continuano tra una pausa e l’altra e continuano in macchina, poi in famiglia, e ancora negli studi legali. Ognuno comincia a fare i conti. Chi ha perduto e chi ha vinto, e si parla sempre e soltanto di soldi. Si parla di quanto questo caso è costato allo Stato per stipendi a Giudici, personale collegato, assistenti, forze dell’ordine e d’intorni. La questione, così conclusa solo in primo grado, è costata un fiume di danaro che, moltiplicato per tutti i casi pendenti e crescenti, lascia perplesso qualsiasi esperto di politica economica.
C’è chi pone la domanda: ma ne è valsa la pena?” non si potevano abbreviare i tempi per ridurre costi e spese? La risposta: la giustizia deve fare il suo corso e lo deve fare nei tempi e nei modi che in cui lo stabilisce il Tribunale. Lo Stato non ha alcuna competenza. L’organizzazione della macchina amministrativa e giudiziaria dipende dai giudici e da questi dipendono i tempi dei procedimenti.
Il cittadino deve pazientare, attendere e pagare i costi di una organizzazione messa in piedi per fargli giustizia!?
Questo tema fa parte della ormai e diffusa discussione sul perenne conflitto tra i poteri dello Stato. La Politica non riesce ad arginare la invasione della magistratura e questa ne condiziona la vita perché conosce il sottobosco in cui opera. Si dice anche che la Giustizia soffoca la politica perché questa non risponde alle sue richieste.
E intanto i tempi corrono, i minori diventano uomini, mentre la Giustizia è sempre lì ad attenderti, più invecchiata e fuori moda, ma lì col solito rito e gli stessi soggetti, più distratti per la stanchezza, meno impegnati sui libri, più preoccupati dei problemi familiari, con la decorosità vistosamente deformata.
Il tempo corrode anche la più resistente dignità, quando questa è condizionata dal ritmo infernale della vita moderna.
In qualche tribunale, per dimenticanza, un minore, rimasto tale nelle carte, è stato “chiamato” all’età di 25 anni, per essere ascoltato. I genitori erano scomparsi, assistenti sociali ed operatori erano usciti di scena e lui era finito nella famiglia dei nonni.
Nella stessa aula di un tempo il giovane compare solo e senza avvocati. Il Giudice di turno lo ha chiamato per ascoltarlo, perché risultava quell’adempimento, rimasto scritto nella pratica ancora aperta. La presenza dell’uomo lo imbarazza. Il magistrato gira e rigira nervosamente le carte in cerca di una verità finita negli archivi della confusione burocratica. Vistosamente imbarazzato e con gli occhi bassi, fissati nel vuoto del tempo, si scusa e freddamente lo libera. Il giovane resta un attimo con lo sguardo rivolto sulla parete, alle spalle del Giudice. Ancora pendente vi è il cartello che ricorda con la scritta” La legge è uguale per tutti”.
* esperto di diritto amministrativo e minorile. *gerardospira@yahoo.it